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Botti di Capodanno

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Scritto da Battista Gardoncini

Mentre su Facebook si discuteva alacremente delle nefaste conseguenze dei botti di Capodanno sulla psiche dei nostri cani, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, non a caso uno dei pochi presidenti che non si è portato alla Casa Bianca neppure un criceto,  ne ha fatto esplodere uno gigantesco, polverizzando il generale iraniano Qassem Soleimani con il suo seguito e inaugurando il 2020 con una crisi internazionale dagli esiti imprevedibili. Mai fidarsi di chi non ama gli animali.

Nell’attesa spero non vana che il botto di Trump susciti nella platea di Facebook almeno la stessa indignazione dei petardi di casa nostra, vorrei sottolineare due aspetti dell’attacco americano che mi paiono particolarmente gravi.

Il primo riguarda la scelta dell’obiettivo. Qassem Soleimani era uno degli uomini più forti e popolari del regime iraniano. Sicuramente non amava gli Stati Uniti, ed è possibile, come sostengono in queste ore alcuni analisti, che le sue mani fossero macchiate di sangue americano. Ma era anche un uomo intelligente e duttile quanto basta per capire l’importanza di mantenere una parvenza di equilibrio nella polveriera mediorientale. Se oggi l’Isis non è più una minaccia per il mondo lo si deve principalmente a lui e alle sue milizie. A parte tutte le considerazioni di tipo etico, la decisione di eliminarlo come risposta all’assedio dei militanti filo-iraniani all’ambasciata americana di Baghdad, peraltro già concluso, non sembra una mossa attentamente meditata, ma quella impulsiva di un capriccioso megalomane, cresciuto nella erronea convinzione di potere tutto. E’ fin troppo facile immaginare che Trump, alle prese con l’impeachment,  abbia agito con un occhio alle elezioni che si terranno a novembre. Ma il prezzo che rischia pagare, e noi purtroppo con lui, sembra davvero troppo alto..

Il secondo aspetto riguarda il luogo dell’attacco. Non l’Iran del nemico Soleimani, ma l’Iraq, dove il generale era in visita, probabilmente proprio per discutere  delle conseguenze dell’assedio all’ambasciata. Gli americani hanno invaso l’Iraq una prima volta nel 1990-91 e poi nel 2003, con il pretesto delle inesistenti armi di distruzione di massa di Saddam Hussein.

Dal 2005, però,  l’Iraq è una repubblica parlamentare con un governo legittimato dall’Occidente. E se è vero che è  dilaniato dalle autobombe e  che metà del territorio è controllato dai ribelli, è altrettanto vero che almeno formalmente è un paese sovrano e alleato degli Stati Uniti. Dunque i droni di Trump, forse coadiuvati da forze speciali, hanno colpito nei pressi dell’aeroporto internazionale di Baghdad, nel  cuore di un paese alleato.  Un’attacco che è ben difficile giustificare con le confuse necessità della lotta al terrorismo internazionale, e che se fosse avvenuto altrove – proviamo a immaginare un qualsiasi aeroporto occidentale, come Fiumicino – sarebbe stato unanimemente considerato per quello che è: un attentato terroristico, e probabilmente il primo atto di una nuova guerra in Medio Oriente.

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