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sabato, 18 Maggio 2024

La valutazione della performance dei dipendenti pubblici

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Federico Depetris
Federico Depetrishttp://www.avvocatodepetris.it/
Avvocato del Foro di Torino (per la biografia completa visitare il sito internet www.avvocatodepetris.it) è appassionato di scrittura, politica e di storia del diritto. Collabora con Nuova Società curando la rubrica “Aequitas” dove si approfondiscono tematiche giuridiche e argomenti di attualità.

Con il Dlgs n. 150 del 2009 il Legislatore introduceva un articolato sistema finalizzato a garantire una maggiore efficienza delle pubbliche amministrazioni mediante l’assegnazione di obiettivi ai dipendenti pubblici e la verifica della loro performance in relazione agli obiettivi assegnati.

Il sistema, per come immaginato dal legislatore, avrebbe consentito una valorizzazione dei dipendenti meritevoli mediante gratificazioni economiche (salario accessori, premi di produttività, incentivi) e professionali (promozioni, affidamento di compiti di maggior prestigio etc.).

L’intero impianto del c.d. “ciclo della performance” è quindi funzionale alla realizzazione del principio meritocratico da ritenersi corollario dei principi di buon andamento ed imparzialità della PA ai sensi dell’art. 97 della Costituzione.

È evidente l’impatto che la valutazione della performance individuale ha per ogni singolo dipendente.

La valutazione annuale influisce infatti nell’assegnazione dei premi di produttività ed incentivi, ma anche sulle prospettive di carriera ed infine sulle possibilità di progressione economica orizzontale e quindi per l’ottenimento di sensibili aumenti di salario.

Considerata l’importanza attribuita al ciclo della performance sia in relazione all’attività ed andamento complessivo degli Uffici pubblici, sia in ordine ai risvolti individuali per ogni dipendente, è evidente come la sua valutazione non possa che avvenire sulla base di parametri assolutamente oggettivi, obiettivi, intellegibili e quindi verificabili. Lo imporrebbe peraltro lo stesso art. 97 della Costituzione laddove con il richiamo all’imparzialità rimanda ai doveri di correttezza ed obiettività a cui sono soggetti i membri della Pubblica amministrazione, ivi compresi, quindi, i dirigenti “valutatori” che certo non possono esprimere valutazioni sulla performance arbitrarie o comunque sprovviste di un impianto argomentativo.

Si deve ritenere, infatti, che dall’art. 97 della Costituzione discenda il principio secondo cui il datore di lavoro pubblico anche quando agisce con le prerogative tipiche del datore di lavoro privato sia comunque tenuto al rigoroso rispetto del principio di trasparenza ed uguaglianza. Quindi le valutazioni della performance che vengono espresse nei confronti dei lavoratori pubblici non possono essere arbitrarie e devono essere comprensibili al dipendente stesso affinché lo stesso, apprese le ragioni sottese alla valutazione, possa anche eventualmente migliorarsi per il futuro.

È quindi indispensabile che le valutazioni della performance siano accompagnate da un congruo impianto motivazionale.

Tali principi sono stati fatti propri dalla Giurisprudenza. Ad esempio, il Tribunale di Venezia ha così argomentato:

“Sussiste l’interesse ad agire della ricorrente posto che le valutazioni sono rilevanti ai fini della progressione di carriera orizzontale o per l’applicazione di sistemi premiali o possono influire sulla valutazione di produttività del dipendente. A norma dell’art. 97, comma 2, Cost. “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione”.

Pertanto, pur quando agisce con i poteri e la capacità propri del datore di lavoro privato,il datore di lavoro pubblico è tenuto al rispetto del principio di trasparenza e di uguaglianza.

L’art. 45, comma 2, d.lvo 165/2001 stabilisce il principio di parità di trattamento dei lavoratori pubblici per cui “le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti di cui all’articolo 2, comma 2, parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi”.

Dunque, la valutazione espressa dal Dirigente annualmente non può essere arbitraria e deve consentire al dipendente di comprenderla e di comprendere le ragioni della stessa, anche al fine di migliorarsi. Nel caso in esame non solo è stata violata interamente la procedura prevista dal Regolamento per il personale del comparto-non essendo stati fissati gli obiettivi e non essendo stati effettuati gli incontri di assegnazione degli obiettivi, di verifica intermedia e di sintesi finale-ma anche discostandosi vistosamente la valutazione dai precedenti anni non è stato offerto alcun elemento, nemmeno in questa sede, per comprendere le ragioni di una così vistosa differente valutazione.

È vero che la valutazione viene espressa in punteggio e che questo punteggio corrisponde ad una leggenda, ma non è proprio possibile comprendere la motivazione di tale valutazione, e l’amministrazione anche in questa sede non l’ha data. Per mutuare istituti di altra branca del diritto, il discostarsi vistosamente e senza motivazione alcuna, che poteva essere data almeno in questa sede, dalle precedenti valutazioni appare sintomatica del vizio di“eccesso di potere”nel quale si raggruppano tutte le violazioni di quei limiti interni alla discrezionalità amministrativa che, pur non essendo consacrati in norme positive, sono inerenti alla natura stessa del potere esercitato ovvero quando la Pubblica amministrazione compie una deviazione da principi generali, come la correttezza, la buona fede, la diligenza. Nel caso in esame vi è una vistosa diversa valutazione della dipendente che non consente né alla dipendente né al giudicante di valutare la fondatezza, logicità, coerenza, congruità del giudizio .” (Cfr Tribunale di Venezia sentenza n. 666/2018).

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