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martedì, 21 Maggio 2024

Mauro Salizzoni, il chirurgo comunista

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Susanna De Palma
Susanna De Palma
Laureata in Scienze Politiche. Giornalista professionista dal 2009. Fin dagli anni del liceo collabora con alcuni giornali locali torinesi, come la Voce del Popolo e Il Nostro Tempo. Dal 2005, pur mantenendo alcune collaborazioni, passa agli Uffici Stampa:Olimpiadi 2006, Giunta regionale, Ostensione della Sindone. Attualmente giornalista presso l'ufficio stampa del Consiglio regionale Piemonte.

«Tema fondamentale per guardare al futuro e al futuro della sinistra è la credibilità delle persone. Quelle persone abituate a prendersi sul serio, che fanno le cose  per come si sono dette di fare. Un atteggiamento,  questo, che non può non generare fiducia, chiarezza e  consapevolezza di essersi compresi». Parole di Davide Mattiello, coordinatore della scuola di politica della “Fondazione Benvenuti in Italia”, che hanno trovato sostanza nell’intervento del professore Mauro Salizzoni, questa mattina durante l’incontro “Il futuro? Un posto meraviglioso” organizzato proprio dalla Fondazione Italia e a cui hanno partecipato anche la vicepresidente del Senato Anna Rossomando,  il segretario metropolitano del Partito Democratico Mimmo Carretta, la consigliera comunale Pd Chiara Foglietta Marco Grimaldi, consigliere regionale di LeU.
«Da troppi anni sono abituato a pensare e a scrivere in un certo modo – esordisce Salizzoni – Un atto operatorio ti obbliga a scrivere in 40 righe anche su interventi durati ore. Questo mi impone di essere preciso, conciso,  di non sgarrare sui particolari. Idea che applico non solo nella corsa a piedi che pratico da anni e dove devi andare piu’forte che puoi contando sulle tue sole forze, ma anche nella vita di tutti I giorni.  Mettere assieme le due cose è difficile. In chirurgia è importante pensare bene ma non perdere tempo. Stessa cosa va fatta in politica».
Una formazione maturata sul campo, quella di Salizzoni, in Vietnam, ad Hanoi, dove ha imparato a fare il chirurgo «devo a quell’esperienza di sei mesi nel 1982 e 1983 la fortuna che ho oggi» e ricorda l’arrivo in un Paese e in un  ospedale che sopravviveva  in una condizione di miseria estrema. «Era un problema dare da mangiare agli studenti che venivano dall’ estero come me, ma ho imparato tanto  e tutto quello che ho vissuto ha contribuito a smorzare alcune idee su cui ero radicato. Ho imparato a interpretare la realta’da un altro punto di vista, quello dei più deboli».
«”Il chirurgo comunista” così mi avevano definito negli anni a seguire, anche se nel 1973, responsabile della commissione sanitaria del Partito Comunista, fui espulso perché quello che pensavo era considerato troppo di destra. Quella fu, probabilmente, la mia fortuna perché da allora mi sono dedicato esclusivamente alla chirurgia, imparando come la sanità rappresenti un bene comune che va difeso per tutti allo stesso modo».
«Si parla spesso di come la sinistra debba stare dalla parte di quelli più sfortunati. Nel mio lavoro, da quella parte, ci sto irremidiabilmente. Grazie alla generosità di chi non ha più chance o comunque molto poche e decide di donare i propri organi,  può invece avere grandi opportunità di vita colui che riceve il trapianto. Un parallelismo che faccio non a caso e che, in termini politici,  possiamo tradurlo col fatto che stare con quelli che non hanno più chance vuol dire stare con i più poveri, i disgraziati, con quelli che si sentono disorientati, confusi. Spetta alla politica chiarire le idee».

“Lavorare per un solo padrone non consente di lavorare per il bene di tutti”

«La parte di società che ho tutti i giorni sotto gli occhi è quella più sfortunata, ed è questa parte che mi aiuta a cogliere le contraddizioni che ho intorno e nel sistema sanitario stesso che, certamente va difeso ma che ha al suo interno enormi storture. È qui arrivo alle disuguaglianze con cui dobbiamo fare i conti».
«Il sistema sanitario è di fatto uguale per tutti, la differenza sta però nel momento delle dimissioni quando, chi può permetterselo fa un postdegenza rientrando nella società, a casa propria, accudito dai propri cari,  e chi non avendo casa, parenti e strumenti economici per farsi assistere, rimarrà da solo. Ed è allora che ti rendi conto che dimettere quell’individuo vorrebbe dire perdere tutto il lavoro svolto fino a quel momento».
Salizzoni continua il suo racconto ammettendo di non aver mai smesso di essere appassionato alla politica, anche nelle scelte di tutti giorni e che lo hanno riguardato in prima.persona.
«Ad esempio – confida – mi sono da sempre ripromesso che non avrei mai messo  piede in una casa di cura privata. E così è stato. Ma anche i fioretti devono diventare una norma, si sa. Lavorare per un solo padrone non consente di lavorare per il bene di tutti. E questo è un assunto di sinistra che ho sposato».
«Essere di sinistra vuol dire stare dentro le cose e intervenire in modo fattivo e onesto, battersi per i diritti.  Un diritto civile per cui vale la pena battersi è, ad esempio, avere un ospedale che sia civile. Se guardo alle Molinette di oggi sembriamo essere tornati indietro di un secolo, un luogo in cui sta diventando impossibile applicare la medicina avanzata, dove I pazienti sono costretti in stanze a sei letti.
Per questo mi spingo a dire che la questione della Città della Salute non va sottovalutata e va affrontata esattamente come vengono affrontate altre battaglie di eguaglianza. Un ospedale pubblico e civile è una conquista per tutti», conclude Salizzoni

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