19 C
Torino
martedì, 21 Maggio 2024

Numeri scomodi: il fallimento del Jobs Act

Più letti

Nuova Società - sponsor
Redazione
Redazione
Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

di Battista Gardoncini

Meno assunzioni, più licenziamenti, e boom dei voucher. Il Jobs Act è riuscito nel compito non dichiarato da chi lo ha voluto – ma ampiamente previsto – di lasciare alle imprese le mani più libere sul mercato del lavoro.

I dati arrivano da una fonte insospettabile come l’INPS, e sono rimasti per pochi minuti sulle prime pagine dei grandi quotidiani on-line. Mentre scrivo Repubblica li ha già relegati al quinto posto, dopo il propagandistico tour americano di Renzi, l’ennesimo videoforum con Salvini, le fantomatiche chanches per l’occupazione del decreto scuola-lavoro, l’annuncio di uno sciopero e una polemica tra tra il governo israeliano e l’Unesco. Dunque vale la pena di riassumerli per i distratti.

Nei primi otto mesi di quest’anno nel settore privato ci sono state 3.782.000 assunzioni, con un calo dell’8,5% rispetto allo stesso periodo del 2015. E mentre sono lievemente aumentati i contratti a tempo determinato (+2,5% i rispetto al 2015) si è ridotto del 35,4% il flusso delle loro trasformazioni a tempo indeterminato. Perfino un dato che a prima vista parrebbe positivo, come l’aumento del numero dei contratti stabili (53 mila in più) assume caratteristiche molto diverse se si guarda alle percentuali, perché si traduce in un tonfo dell’89% rispetto agli stessi mesi del 2015, quando erano in vigori incentivi per le assunzioni più vantaggiosi degli attuali. Quanto ai licenziamenti, tra il gennaio e l’agosto di quest’anno quelli per giusta causa o giustificato motivo sono stati 46.255, il 28,3% in più rispetto all’anno scorso.

Infine i voucher. In origine erano stati pensati per pagare le prestazioni di lavoro accessorio e far emergere il lavoro nero, ma sono diventati un metodo di retribuzione diffuso in molti altri settori e penalizzante per i lavoratori. In otto mesi ne sono stati venduti circa cento milioni, con un valore nominale di 10 euro l’uno. Rispetto all’anno scorso la crescita è stata del 35,9%

Questi dati sono stati raccolti dall’Osservatorio sul precariato dell’INPS attraverso gli uffici territoriali dell’istituto. Non è la prima volta che i suoi rapporti descrivono un paese reale molto diverso dalle narrazioni compiacenti dei giornali e delle televisioni schierati con Renzi e il suo governo. Ma certo non si tratta di una ostilità preconcetta. Il presidente dell’INPS Tito Boeri è un economista brillante e accreditato a livello internazionale, che da tempo insiste sulla necessità di riformare il sistema. E’ però abituato a pensare con la sua testa, e non si lascia fuorviare dalle necessità contingenti della politica. Speriamo che duri, perché di questi tempi la libertà di pensiero, soprattutto quando di basa su numeri scomodi, è considerata un grave difetto.

 

oltreilponte

 

 

- Advertisement -Nuova Società - sponsor

Articoli correlati

Nuova Società - sponsor

Primo Piano