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venerdì, 17 Maggio 2024

Una raccolta firme per il vagone di Levi

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Il vagone delle polemiche davanti a Palazzo Madama, grazie ad una raccolta firme, potrebbe rimanere in piazza Castello fino al 6 aprile, giorno di chiusura della mostra in onore di Primo Levi inaugurata ieri.
Il vagone infatti, su cui Levi viaggiò fino ad Auschwitz insieme ad altri deportati, dovrebbe rimanere esposto nel centro di Torino per circa 15 giorni, ma ora, dopo il polverone sollevato due giorni fa da chi non vuole i resti del “vecchio treno” in una delle piazze più centrali della città, la polemica sembra non finire.
Al contrario, dopo le dichiarazioni stridenti del soprintendente ai Beni architettonici del Piemonte Luca Rinaldi, che lo ha definito un «baraccone» e «una pagliacciata», la politica torinese si è letteralmente scatenata. Nino Boeti, vicepresidente del Consiglio regionale del Piemonte, nonché presidente del Comitato Resistenza e Costituzione, ha lanciato l’iniziativa della raccolta firme e si è detto sorpreso dalle dichiarazioni del soprintendente Rinaldi. «Credo – ha affermato Boeti – che il problema non sia che in una piazza aulica di Torino, che abitualmente ospita vendite di cioccolato o di gadget (ultimamente anche un mega cartellone di Belen Rodriguez), venga collocato, in occasione del 70° anniversario della Liberazione e a poca distanza dal Giorno della Memoria, il carro merci che ha portato Levi prima a Fossoli e poi ad Auschwitz».
«In un momento nel quale l’antisemitismo torna a essere un dramma per l’Europa e per il mondo – continua Boeti – il vagone non solo rappresenta l’ideale porta d’ingresso alla mostra su Primo Levi, ma anche un richiamo, certamente forte, alla pace, alla fratellanza, al rispetto della vita. La concessione del suolo pubblico per una raccolta diretta di firme affinché il carro resti “davanti” a piazza Castello, non dietro come un oggetto da nascondere e di cui vergognarsi» conclude Boeti.
Silvio Viale, consigliere comunale dei Radicali, definisce il «vagone di Primo Levi un simbolo di sofferenza e speranza, una delle immagini più forti del genocidio e delle connivenze che lo permisero».
Non un baraccone o una pagliacciata, ma «forse il soprintendente non ha colto quanto Primo Levi sia un simbolo di Torino e della sua storia» ha aggiunto Viale, sottolineando come ora la città si aspetti «una pronta e rapida ritrattazione, nonché il mantenimento del vagone per tutto il periodo della mostra. Perché mai i bambini non dovrebbero avvicinarsi al vagone di Primo Levi come al presepe di Luzzati?» si è domandato Viale.
L’eco delle frasi di Luca Rinaldi, è giunto fino al Parlamento. Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali, in una nota ha sottolineato come il vagone stia lì per ricordare il «significato simbolico e morale della deportazione nei lager nazisti e del viaggio di Primo Levi, superiore mille volte a qualsiasi valutazione burocratica».
Mentre i parlamentari del Pd Emanuele Fiano, Silvia Fregolent, Francesca Bonomo, Antonio Boccuzzi, Anna Rossomando, Andrea Giorgis, Paola Bragantini e Umberto D’Ottavio, hanno definito affermazioni di Rianldi «inaccettabili da qualsiasi punto di vista».
«La memoria della Shoah è patrimonio collettivo dell’umanità e i simboli che la rappresentano non possono essere ridotti a mero problema estetico» hanno concluso i parlamentari del Pd sottolineando prima di tutto la loro prospettiva storica.
Intanto oggi, primo giorno d’esposizione per il vagone delle polemiche, turisti e semplici passanti si fermano numerosi a guardare e scrutare da vicino la vecchia carrozza del treno merce, testimone silezioso e simbolo di una delle pagine più buie della storia d’Italia e non solo.
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